Questo è un post polemico, ve lo dico subito.
L’argomento è: la spiritualità si perde completamente con il turismo non controllato.
Davanti a una tazza di tè, alla fine di un viaggio itinerante in Turchia, ho gli occhi pieni di bellezza, la mente aperta e il cuore spalancato. Eppure, dentro di me, è nata una consapevolezza di cui voglio parlarvi.
Chiariamo subito una cosa: questa riflessione vale per moltissimi luoghi mistici, spirituali e religiosi in tutto il mondo. Io vi racconto la mia esperienza qui, ma sono sicura che potreste citare tantissimi altri esempi.
Da turista occidentale, quando mi sono trovata nella Moschea Blu di Istanbul o tra le rovine della Cappadocia, ho avuto la fortuna di poter accedere quasi senza limiti, con pochi controlli e tanta libertà. Un privilegio? Sì, certo. Un’esperienza arricchente? Non del tutto.
Un luogo sacro, un simbolo potente di religione, valori, cultura, storia e misticismo come la moschea principale della prima città turca, in questo contesto ha perso quasi completamente la sua forza evocativa. Mi è successa una cosa simile anche entrando a Notre Dame, al Duomo di Milano, in Vaticano… e potrei continuare con molti altri esempi.
Quando il turismo snatura i luoghi sacri
Aprire indiscriminatamente gli spazi sacri ai turisti non significa davvero far vivere loro la cultura del luogo. Anzi, rischia di togliere potere e significato a chi quei luoghi li vive nella quotidianità come fedeli.
La Moschea Blu, ad esempio, non mi ha lasciato nulla di spirituale: l’ho ammirata nella sua bellezza architettonica, ma poco più. E probabilmente porta sempre meno coinvolgimento anche ai residenti di Istanbul che la frequentano come luogo di culto.
Un luogo sacro non è solo un’opera d’arte. Porta con sé un’energia, un potere, un respiro di religione e spiritualità che, con questo turismo veloce e travolgente, rischiano di svanire del tutto.
Il turismo come risorsa, ma…
Capisco perfettamente il valore economico del turismo, soprattutto per un Paese come la Turchia, oggi in piena rinascita. Eppure, questo modello di turismo veloce e “mordi e fuggi” fa male a tutti: al luogo, ai fedeli e perfino al turista, che si porta a casa solo qualche foto e un ricordo superficiale.
Visitare un luogo sacro non è come visitare un museo, un parco o la stazione dei treni di New York.
Richiede rispetto, lentezza, silenzio. Significa provare a cogliere, almeno in parte, la sacralità che lo abita, anche senza condividerne la religione.
E voi cosa ne pensate?
Avete mai vissuto la stessa sensazione?
Vi siete mai trovati in un luogo spirituale dove l’atmosfera era rovinata dal turismo di massa?
Se vi va di raccontarmelo, scrivetemi qui sotto!
Un abbraccio,
Ginny
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